I MUTAMENTI DEL NOSTRO TEMPO. NUOVE PRATICHE ANALITICHE?

Nel 2019 il CdR di Studi junghiani invitava a proporre articoli per un numero monografico, uscito l’anno dopo, dal titolo: Polis e psiche: politica e prospettive analitiche nella contemporaneità.

Il numero racchiude articoli che portano all’attenzione del lettore il rapporto sempre presente tra la psiche e la politica, “……tra un pensiero psicologico profondamente calato nel momento storico in cui si dipana, un pensiero dotato di quella sensibilità analitica che consente di cogliere i mutamenti “in diretta”, di intercettare la contemporaneità mentre “accade.”, e la possibilità di riflettere ed elaborare quello che sta avvenendo fuori e dentro di noi.

Oggi, le trasformazioni del mondo contemporaneo, l’emergere di diverse fenomenologie cliniche e l’utilizzo di nuovi strumenti di comunicazione impongono la necessità di ripensare il nostro modello di cura. Nell’era digitale, gli scambi e le contaminazioni sono aumentati così come il passaggio di informazioni, sempre accessibili e disponibili velocemente.

Viviamo nella società dell’iperconnessione, dei like, dell’assenza di confini, dell’impazienza, della semplificazione e della fretta mentre sappiamo bene che la realtà è molto più complessa, lenta e difficile da gestire rispetto alla tecnologia. Viviamo nel controllo continuo di cosa ci stiamo perdendo quando non siamo connessi, attratti da cosa sta succedendo nel mondo virtuale dove prevale l’esteriorità, il successo e la performance : “onlife”, in una condizione definita “always on”, nella quale il nostro cervello è in un continuo stato di ipervigilanza.

Tutto questo richiama tante riflessioni, il vertiginoso aumento del disagio, soprattutto in età giovanile, rende urgente tornare a riflettere sull’importanza del nostro lavoro e della pratica analitica.

Riflettiamo sull’ansia e sugli attacchi di panico, sulla perdita del desiderio e dell’interesse per la sessualità, sul bisogno dello “sguardo” continuo dell’altro per sentire di esistere, sulla paranoia, sulla fuga dall’intimità del corpo e la pericolosa distanza dalle emozioni.

Riflettiamo sulla rinuncia alla realtà, forse perché l’Umano non può sopportarne troppa, ma anche sulla violenza del sintomo, che a volte arriva impetuoso a ricordarci che abbiamo una psiche e un corpo che hanno bisogno di altro, spettatori di un conflitto tra virtuale e reale, tra fuggire e stare, tra l’Eden e il mondo.

In questo scenario, il CdR di Studi junghiani invita autori di articoli, ricerche e studi, ad inviare alla Redazione i propri lavori per la pubblicazione di un numero monografico che si pone come obiettivo una riflessione sul nostro tempo, e che abbiamo scelto di intitolare “Nuove pratiche analitiche”.

Con questo titolo si auspica una riflessione su come sia cambiato e perché il modo di fare analisi oggi. Viene in mente come si sia modificato il setting, dentro e fuori la stanza d’analisi, nel mondo dei messaggi WhatsApp e delle videochiamate, nel mondo costellato da una separazione impossibile, dove sembra che la sensazione di “essere tenuti nella mente” ceda il posto al “vedere colorarsi di blu le doppie spunte del cellulare” o al numero di visualizzazioni delle storie su Instagram.

Ci sembra quindi ancora più chiara l’importanza della relazione analitica e la responsabilità come analisti di raccogliere i dettagli della vita e dargli un senso.

In un bellissimo libro: “Prendere vita nella stanza d’analisi”, Ogden traccia il percorso della psicoanalisi contemporanea nella direzione di una sensibilità e intimità nuove, che comprendono il passaggio da una psicoanalisi epistemologica ad una ontologica, ossia “dal conoscere e comprendere all’ essere e divenire”. Da un concetto della mente come “apparato mentale” al concepirla come “processo vivente” che si manifesta nell’atto stesso di fare esperienza. Anche Stern ci ricorda come in ogni gesto viene veicolato un affetto vitale che dipende dalla qualità dell’esperienza, non è importante ciò che viene fatto, ma come. Gli affetti vitali sono forme del sentire che esprimono il modo in cui un sentimento viene esperito e si riferiscono all’esperienza vissuta, offrono quindi una percezione del mondo interno e  dell’altro difficile da dissimulare, impressioni inconsce grezze e poco strutturate, una sorta di linguaggio universale, una musicalità comunicativa che si esprime attraverso un livello corporeo. Nella relazione analitica appare fondamentale questa funzione, soprattutto in questo tempo, di “richiamo” alla vita, che rende, forse, possibile calarsi nell’arena delle vicende del mondo ed affrontare quello che c’è, così com’è.

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