Inter(cine)visione: La famiglia Bélier (2014)
A cura di Alessandro Generoso,
con la partecipazione di Stefania Cataudella, Valerio Colangeli, Riccardo Venci
La famiglia Bélier può essere letta come una parabola dell’individuazione (Jung, 1961). In una famiglia di sordomuti, la figlia che canta incarna il contrasto tra appartenenza e differenziazione, tra silenzio e voce, tra la necessità di restare fedele al legame e il bisogno di affermare la propria singolarità. La voce di Paula diventa la metafora della nascita psichica: ciò che inizialmente è solo un suono interiore, fragile e inascoltato, si trasforma progressivamente in parola, in linguaggio e in espressione del Sé.
Il conflitto familiare mette in scena le due polarità archetipiche: la funzione materna che trattiene, teme la separazione e difende l’unità simbiotica, e la funzione paterna che apre al mondo, autorizza la distanza e il rischio del nuovo. In questo senso, la scena in cui il padre tocca le corde vocali della figlia rappresenta il gesto simbolico del riconoscimento: la funzione paterna che, pur nel limite sensoriale, restituisce spazio al desiderio dell’altro. È l’atto che trasforma la dipendenza in libertà, permettendo alla giovane di vivere il proprio talento non come tradimento della famiglia, ma come compimento di una promessa.
La dialettica Puer–Senex (Hillman, 1967) attraversa tutto il film: da un lato il desiderio di emergere, di “spiccare il volo” tipico del Puer; dall’altro la paura del cambiamento, la nostalgia di stabilità del Senex. La trasformazione diventa possibile solo quando l’autorità genitoriale accetta di farsi “contenitore permeabile”, cioè di tollerare la perdita e l’incertezza, riconoscendo la necessità di un nuovo ordine affettivo.
Il coro, la scuola, la città rappresentano l’irruzione del mondo nella vita psichica: sono le esperienze dell’alterità che rompono il cerchio familiare e introducono la protagonista nel cammino dell’individuazione. La musica, linguaggio universale che unisce ciò che il silenzio separa, diventa ponte tra due mondi, simbolo della funzione trascendente junghiana: quel processo che permette di integrare gli opposti, di trasformare il conflitto in nuova sintesi interiore (Jung, 1957-1958).
L’individuazione non ha lo scopo di isolare l’individuo dal mondo, ma di unire il conscio e l’inconscio dell’uomo. È ciò che avviene quando la protagonista trasforma la sua voce — un tempo trattenuta, poi riconosciuta — in linguaggio condiviso: un ponte fra il silenzio originario e la parola che crea legame.
Diventare sé stessi significa divenire anche il proprio opposto, e integrarlo in un tutto più vasto. La famiglia Bélier diventa così la rappresentazione simbolica di questa integrazione: non l’annullamento del legame, ma la sua metamorfosi in una forma più ampia e consapevole, dove ciascuno può finalmente ascoltare — anche senza udire — la voce dell’altro.
Bibliografia
Hillman, J. (1967), Puer Aeternus. Adelphi.
Jung, C. G. (1957/1958), La funzione trascendente in Opere Carl Gustav Jung, vol. 8, Boringhieri.
Jung, C. G. (1961), Ricordi, sogni, riflessioni. Rizzoli, 1978.

